Dopo varie esperienze in settori legati all'arredamento, all'edilizia ed alla scenografia teatrale, Antonio Berdondini unisce queste conoscenze tecniche con le capacità rappresentative apprese alla Scuola di Disegno Tommaso Minardi e nel 1926 apre la sua " bottega artigiana":una piccola struttura ricavata nell'atrio, nel sottoscala e nel cortiletto della casa di vicolo Bucci n.6 a Faenza.
I primi anni di attività furono difficili, non solo per il sopraggiungere della storica crisi economica, ma perche' il giovane Berdondini voleva uscire dal mondo della produzione del mobile in stile antico, per affrontare ciò che era la cultura del momento: Faenza era in quegli anni, un centro produttivo, per il settore del mobile estremamente attivo e di grande tradizione.
Molti ricordano come le giovani maestranze di Cantu' venivano a Faenza "ad imparare il mestiere"!
A Saluzzo operavano valenti artigiani, "artisti" ebanisti di Faenza (vedi es.il Comm. Bertoni).
Così Berdondini inizialmente fece molta fatica a superare la psicologia imperante nel settore e a differenziarsi da una produzione locale impegnata soprattutto nel mobile classico antico.
In effetti ritroviamo, tra i suoi disegni ed opere realizzate in quegli anni, il senso di questo distacco: le prime esperienze di opere che si ispiravano a quello che gli storici chiameranno "protodesign", un periodo che prese le proprie origini dalle ultime esperienze "deco'" e che nei primi anni Venti era definito "Novecento".
Il "Novecento" era, di fatto, molto presente nel suo spirito formale e culturale a Faenza, soprattutto nella lavorazione della ceramica.
Saranno proprio le persone di cultura avanzata come Guerrini, (fondatore della Scuola del Mosaico a Ravenna e coideatore del Palazzo della Civiltà del Lavoro all'Eur- Roma) G.Ballardini, Melandri, Matteucci, Gatti, Nonni, Drei, Ugonia, Rambelli, Gentilini ed altri, a stimolare il giovane Berdondini con la sua frequentazione ai loro incontri, dibattiti e discussioni su idealità, arte, futuro.
Autori che guardavano con entusiasmo "il nuovo" e lo praticavano in un clima stimolato anche grazie ad importanti veicoli culturali rappresentati, ieri come oggi, dal Museo Internazionale della Ceramica e dalla Scuola di Ceramica, fondati da G.Ballardini tra il 1908 ed il 1913, dalla Pinacoteca Comunale e dalla Scuola di Disegno Arti e Mestieri "Tommaso Minardi", fondati alla fine del ‘700.
Il Museo Internazionale della Ceramica, nato in occasione dell' "Esposizione Universale", rappresenta subito per Faenza e per l'attività legata all'artigianato locale, una fonte importante di conoscenza e di verifica.
Le opere esposte, prima frutto di donazioni private, quindi provenienti da mecenati di tutto il mondo, rappresentano dei veicoli per gli artigiani locali ed il giovane Berdondini seppe cogliere questi nuovi segnali!
Con la nascita poi della Scuola di Ceramica nel 1913, il Museo si arricchì di sovvenzioni provenienti dallo Stato e collegate al finanziamento della scuola.
Erano tempi in cui la Scuola assorbiva figure di artefici di grande valore in quanto già si sentivano gli effetti sfavorevoli dell'industria nei confronti dei "maestri" di bottega che, sempre più in crisi, trovavano uno sbocco della propria attività nell'insegnamento.
L'attività di Antonio Berdondini si andava affermando intorno agli anni Trenta e la sua voglia di migliorare e di confrontarsi, possiamo leggerla attraverso le numerose presenze all'interno delle manifestazioni espositive della regione.
Le sue opere esposte furono spesso apprezzate con successo soprattutto fuori Patria, a Bologna e a Firenze, ma anche alle " Settimane Faentine " tra il 1934 e il 1939, alla " Settimana cesenate ": manifestazioni uniche in cui era possibile vedere una produzione vicina ai movimenti culturali e formali della produzione del mobile nazionale ed internazionale.
Non mancavano riconoscimenti per la produzione della azienda artigiana di Antonio Berdondini: premi e medaglie d'oro per lo "Stile nuovo", per la qualita' dell'esecuzione, li ricevette con la partecipazione alle Fiere di Bologna e Firenze del 1938, 1939 e 1940.
Fra i mobili e le ceramiche prestigiose di quelle mostre le cronache ricordano: "le camere da letto" (Corriere Padano del 1935), "la sala da pranzo in radica" (Corriere Padano e Resto del Carlino del 1937), "i particolari intarsi" (Corriere Padano e Resto del Carlino del 1938) di Berdondini ebanista in Faenza (per es.intarsi applicati nei mobili che si rifacevano a raffigurazioni di De Chirico e del giovane F.Gentilini).
In queste occasioni, a Bologna, come maggior premio gli fu concesso di esporre per due anni nelle vetrine di via Santo Stefano (nel Palazzo della Mercanzia della CCCIA), i mobili già premiati alla Fiera del Littoriale.
Berdondini maturò le proprie qualità non solo attraverso la presenza alle manifestazioni regionali, ma anche attraverso un'assidua frequentazione delle manifestazioni a più ampio respiro come ad es.le "Triennali" di Milano e le mostre di Monza.
E' spesso evidente nella produzione di quegli anni, il riferimento a modelli autorevoli quali Luciano Baldassarri, Giò Ponti, Guglielmo Ulrich, Paolo Buffa, Melchiorre Bega, e a molte informazioni di carattere tecnico e sull'uso dei materiali, recepite da Antonio Berdondini che, non perdeva occasione per visitare le diverse "botteghe artigiane" di maggiore rilievo presenti nel comprensorio milanese e brianzolo.
La volonta' di riuscire fece sì che, nonostante le grandi difficolta', la Bottega di Berdondini, ormai traslocata nel 1936 nei piu' ampi locali dell'ex Convento delle Vergini, gia' nel 1940 contasse numerosi collaboratori, attrezzature di nuova concezione ed un negozio per l'esposizione dei mobili (vedi "Il piccolo negozietto dalle rosse piastrelle di Sieci" di " Giochi Perduti", in " Canti alla Vita " Ed. Gesualdi Roma 1978), nella centrale Via Mazzini, ma soprattutto di una vasta e qualificata clientela proveniente da tutta la Regione, dalla Toscana e da Roma.
I risultati di questi anni furono quasi completamente azzerati dall'arrivo della guerra: gran parte dei diversi magazzini, " sfollati " nelle campagne attorno al fiume Senio, contenenti il materiale grezzo e la produzione di quegli anni, furono distrutti completamente.
Subito dopo la guerra la bottega ebbe commesse di lavoro riferite essenzialmente alla sistemazione di mobili danneggiati dal passaggio del fronte bellico; dal 1947, Antonio inizio' a riprendere la propria attivita' creativa e produttiva con mobili di piccola serie usando spesso i modelli dei primi anni "40 ed intensificando la sua attività di ideatore ed esecutore di pezzi singoli ad alta finitura ed ebanisteria, suggestionato dalle sempre più frequenti visite alle manifestazioni che si sviluppavano a Milano, legate all'arredamento come la "Triennale" e mostre a Cantu', Lissone e Monza.
Il figlio Gian-Paolo, inserito, sin da bambino con la madre Angela, nell'attivita' e nello sviluppo della " Bottega Artigiana ", laureatosi con la tesi " Le possibilita' di sviluppo dell'Industria del mobile in legno in Italia ", alla Facolta' di Economia e Commercio, discussa presso l'Universita' Cattolica di Milano nel 1959, termino' nei primi anni "60, la costruzione dell'attuale grande sede dell'azienda in Via Emilia Ponente a Faenza, (vedi foto).
Antonio Berdondini disegno' la struttura estetica del fabbricato con la passione che metteva nel disegnare i mobili di sua creazione; tra l'altro la facciata dell'edificio riporta " la storia del mobile" in pannelli di ceramica dell'artista Goffredo Gaeta.
Gian-Paolo cambio' inoltre la forma giuridica della ditta, prima nel 1962, poi il 2 giugno 1966, sempre col nome Berdondini e sempre e solo a completa base famigliare.
La nuova sede e la relativa organizzazione sono il frutto parziale della sua tesi di laurea, oggetto di attenzione e di studio da parte delle organizzazioni di maggior rilievo nel settore-legno, allora esistenti.
L'iniziativa intrapresa nel 1960-1962, fu ampiamente additata ad esempio da seguire in Italia, specie nelle zone dell'Alto Milanese, dove in seguito si svilupparono forme nuove di distribuzione mobiliera fino a quei tempi sconosciute per i singoli imprenditori.
In quegli anni '60, Gian-Paolo partecipo' alla costituzione del C.I.M., Centro Italiano del Mobile, che avrebbe dovuto diventare una specie di "citta' del mobile " sull'autostrada che da Milano porta alla Svizzera; l'iniziativa poi, non ando' in porto per le storiche, abituali e connaturali ragioni insite nella mentalita' dei singoli operatori del settore, non abituati ad aperture mentali avveniri-stiche.
Ritroviamo, presente sulle scene delle grandi manifestazioni internazionali, la Ditta " Berdondini " nel 1965 quando presenta al Salone del Mobile di Milano, il soggiorno " Velangela ", frutto del progetto di Antonio Berdondini con la collaborazione grafica di Velia Donati, moglie e stretta collaboratrice del figlio Gian-Paolo.
Prodotto in piccola serie, nelle versioni in palissandro India o in noce nazionale, dalle accurate rifiniture non solo esterne ma anche interne in tutti i particolari ebanistici di alta raffinatezza, suscitò scalpore tra le maggiori ditte produttrici in vista all'epoca e venne giudicato favorevolmente non solo dal pubblico, ma dalla critica del settore; tra l'altro fu una delle sole tre produzioni citate dall'allora famoso ed altamente quotato magazine "World furniture" di Londra, sulle oltre 3.000 ditte espositrici.
Il particolare impegno relativo alla qualità del progetto e dell'esecuzione del mobile portò, in quegli anni, la ditta Berdondini alla fondazione ed alla partecipazione , sino alla sua estinzione, della " TREA ", associazione del settore, creata ai fini di promuovere e divulgare il mobile contemporaneo mantenendo sempre un alto livello di qualità nel design.
L'Associazione era composta da 33 soci sparsi in tutta Italia ed annoverò i migliori nomi dell'arredo dell'epoca come Gianni Gabba, Canetoli, Berger, Bornello, Marcelletti ed altri.
Alla presenza e partecipazione della Berdondini ad iniziative tese a dare valore al mobile contemporaneo, si aggiunsero altre attività promozionali tra cui una molto particolare: nel 1969, nel piazzale della sede di Faenza ospito' la presentazione dell'enoteca " Le Botti del Passatore ", prima esperienza pubblicitaria dell'Ente Tutela Vini Romagnoli.
Grandi botti, tini e contenitori da vino DOC romagnoli: una sorta di rinnovato abbinamento tra due principali elementi della terra, il legno e la vite, il mobile ed il vino.
Negli anni Settanta la ditta cercò di espandersi con il progetto della costruzione di capannoni per l'ampliamento del " reparto produzione " nei quali avrebbe dovuto svilupparsi la lavorazione in serie del "Velangela" per essere poi introdotto su un mercato selezionato per il quale si erano offerti i migliori rap-presentanti del settore; ma purtroppo il progetto trovò impedimenti burocratici in modo tale da costringere la ditta a limitare la produzione a singoli e sporadici pezzi.
Cio' nonostante la Berdondini continuò la sua attività impegnata nella produzione di mobili di alta qualità e di buon design, spesso orientato all'arredo personalizzato: fin dai primi numeri della rivista "Ottagono" appare il nome della ditta come tra le più qualificate aziende italiane su iniziativa richiesta dall'Arch. Sergio Asti.
La sua immagine, oggi, conserva tutto il valore e l'impegno che le derivano dal lungo e qualificato percorso, esportando in tutto il mondo il proprio prodotto ed il proprio marchio (registrato) diffuso anche a mezzo Internet.